Dissertazioni sulla salute da parte di un Pensionato non medico - L'ipertensione
17 Mag 2017
L’ipertensione – un approfondimento
di Vittorio Vedenelli
Premessa: il presente articolo, redatto da un appassionato al nutrizionismo, riassume informazioni raccolte da fonti varie e ha fini esclusivamente divulgativi: non pertanto ha lo scopo di rimpiazzare la diagnosi del proprio medico curante.
Con il termine, ormai di uso comune, “ipertensione” si intende una condizione di pressione arteriosa elevata, superiore al livello desiderato e giustamente ritenuta mettere a rischio la nostra salute (per il seguito si fa riferimento alla pressione sistolica, altrimenti detta “la massima”).
Il rischio maggiore con l’ipertensione è l’emorragia cerebrale, che ha conseguenze, quando non mortali, sulla capacità di parlare, scrivere, sulla memoria o può provocare paralisi. Inoltre, l’ipertensione moltiplica per 6 il rischio di Alzheimer.
E’ diffusa l’idea che sia naturale un aumento della pressione arteriosa con l’avanzare dell’età: le persone sulla sessantina credono di essere a posto con una pressione arteriosa tra 130 e 139, ma hanno torto. Non solo tale valore è lungi dall’essere “perfetto”, ma è alto il rischio che continui a salire: dopo i 50 anni la crescita può essere rapida. Si rileva che tra i 64 e i 75 anni l’ipertensione è diagnosticata in 2 casi su 3 e dopo gli 85 anni nel 90% dei casi.
L’ipertensione non ha nulla di “naturale”, anche in età avanzata.
Presso le popolazioni che vivono di caccia e frutti (abitanti delle zone remote di paesi come la Cina, le Isole Salomone, la Nuova Guinea, il Brasile, l’Africa) la pressione arteriosa non aumenta con l’età ed è in generale più bassa. Ciò non è dovuto ai geni: quando questi individui migrano verso zone meno remote la loro pressione sale marcatamente. Ciò che mantiene bassa la loro pressione è il loro stile di vita: alimentazione ricca di frutti e legumi, povera di zuccheri e sale, attività fisica quotidiana, esposizione al sole, assenza di stress cronico, niente veleni chimici (sigarette, inquinamento, ecc.).
Quindi l’ipertensione non è inevitabile: basta adottare uno stile di vita sano, ma per motivarsi a cambiare stile di vita occorre essere informati sui pericoli.
Sull’ipertensione spesso si fanno discorsi troppo rassicuranti: i mezzi di informazione di massa di solito presentano questa patologia come grave ma curabile: la cura consiste nell’assumere farmaci anti-ipertensivi (“l’importante è non dimenticare di prendere le pillole”).
Ma è davvero così semplice?
Terapeuti che disapprovano i rimedi chimici dicono di non preoccuparsi di una pressione arteriosa di oltre 140 e perfino 150, specialmente se si è ultrasettantenni.
I medici “classici” dicono invece che una pressione anche leggermente elevata è grave (ed è vero) ma che non c’è da preoccuparsi se si prendono farmaci anti-ipertensivi (e questo è falso).
Vediamo di fare chiarezza.
Occorre premettere che i farmaci anti-ipertensivi sono un affare colossale per i produttori, data la diffusione di questa patologia. Ma cambiare stile di vita è molto più benefico che prendere farmaci.
Infatti i farmaci:
- proteggono molto parzialmente dai gravi rischi dell’ipertensione;
- generano frequentemente effetti secondari molto sgradevoli;
- possono causare gravi malattie quando vengono presi per anni ed anni.
Resta comunque necessario prendere farmaci anti-ipertensivi se la pressione supera i 160. Inoltre, chi prende farmaci anti-ipertensivi non deve interromperli bruscamente: si può generare un effetto “rimbalzo” molto pericoloso. Ma non si deve immaginare di essere al riparo dai rischi grazie ai farmaci.
Anche se la soglia accettata per la prescrizione di farmaci è 140-150, valori superiori a 120 aumentano i rischi di malattie cardiovascolari e di Alzheimer. E’ una situazione intermedia tra la malattia e la perfetta salute, uno stato di fragilità che predispone a malattie future.
Situazione simile ai livelli di zuccheri nel sangue: la glicemia aumenta infatti spesso parallelamente alla pressione arteriosa. Troppi zuccheri aggiunti, troppi prodotti industriali, troppo pane, pasta patate, non abbastanza legumi e attività fisica.
Uno studio condotto su 27.000 americani ultra-quarantacinquenni ha mostrato che oltre la metà prendeva farmaci anti-ipertensivi. Dopo 6 anni si è visto che quelli che prendevano farmaci per tenere la pressione sui 120 avevano un rischio del 248% in più di malattie cardiovascolari rispetto a quelli che avevano la pressione a 120 senza prendere farmaci. Ne consegue che, anche se prendiamo farmaci anti-ipertensivi (non prenderli espone ad un rischio anche maggiore), la nostra salute resta comunque a rischio.
Il fatto è che l’ipertensione è il segno che la salute sta peggiorando: ridurla con i farmaci limita i danni ma non risolve il problema alla radice.
Se il sistema di regolazione della pressione non funziona bene ha senso prendere farmaci che agiscano per correggere la pressione, anche se sarebbe più opportuno ritrovare l’equilibro perduto.
Tuttavia nella maggior parte di casi il sistema di regolazione della pressione funziona bene, ma l’organismo sceglie deliberatamente di aumentare la pressione per il nostro bene!
Non si deve dimenticare che la pressione arteriosa permette al sangue di raggiungere tutti gli organi del corpo per portare l’ossigeno e i nutrienti di cui essi hanno bisogno. Se il sangue circola liberamente, senza incontrare ostacoli, non necessita di pressione elevata per raggiungere gli organi più lontani. Al contrario, se le arterie sono rigide e strette, il cuore deve fare uno sforzo maggiore per irrorare correttamente gli organi e questo si traduce in una pressione arteriosa più alta.
Ecco quindi la causa principale dell’aumento della pressione nei paesi occidentali con il crescere dell’età: è che lo stato delle nostre arterie tende e degradarsi.
Ma è chiaro, a questo punto, che i farmaci anti-ipertensivi sono problematici: non solo non agiscono sul problema di fondo (ma solo su un effetto), ma impediscono al sangue di irrorare correttamente gli organi!
Ne risentono soprattutto gli organi più sensibili alla insufficiente irrorazione: i reni, il cervello, ….e il cuore!
- i reni: è tanto necessaria una loro buona irrorazione sanguigna che essi hanno sistemi per aumentare la pressione, se ce n’è bisogno. Un abbassamento artificiale della pressione può danneggiarli. Un esame condotto su 40.000 pazienti che assumevano farmaci anti-ipertensivi ha mostrato che quelli con pressione tra 120 e 130 avevano un rischio del 10% maggiore di morire di blocco renale rispetto a quelli con pressione tra 130 e 140!
- il cervello: uno studio del 2015 su 171 italiani anziani che assumevano farmaci anti-ipertensivi ha mostrato che quelli con pressione inferiore a 130 avevano più problemi cognitivi di quelli con pressione superiore (tra 130 e 150);
- il cuore: uno studio del 2016 (British Medical Journal) mostra che il rischio di mortalità cardiovascolare aumenta significativamente se si riduce la pressione sotto 130. La bassa pressione impedisce infatti al cuore di essere sufficientemente irrorato.
In conclusione, in media, il miglior risultato rischio/beneficio con i farmaci si ha quando la pressione è ridotta a valori tra 130 e 145. Tuttavia ridurre artificialmente la pressione arteriosa riduce il rischio di ictus, ma aumenta quello di danni ai reni, cervello e cuore. E’ per questa ragione che i farmaci anti-ipertensivi non aumentano la speranza di vita globale dopo gli 80 anni.
Inoltre, a volte i farmaci non funzionano. Il medico prescrive un secondo farmaco, poi un terzo e magari un quarto, ma nel 20% dei casi la pressione non scende. In questi casi resta alto il rischio di ictus. Vi è un alto rischio di ictus anche nel caso di interruzione dei farmaci, dovuta ad intolleranza: succede nel 10% dei casi.
Tra gli effetti secondari dei farmaci anti-ipertensivi c’è l’aumento del rischio di tumore: ricercatori hanno rilevato che le donne che prendono farmaci anti-ipertensivi del tipo “calcio-bloccanti” da oltre 10 anni hanno un rischio di tumore al seno aumentato di 2,5 volte rispetto a quelle che non prendono farmaci oppure prendono farmaci anti-ipertensivi del tipo beta-bloccanti o diuretici.
Altri farmaci (ARA, sartani) aumentato del 25% il rischio di cancro al polmone.
Tutti i tipi di farmaci anti-ipertensivi inoltre aumentano il rischio di cadute: queste derivano da maggiori probabilità di vertigini e perdita di equilibrio causate da pressione insufficiente (quindi insufficiente irrorazione).
Tra gli effetti a lungo termine dei beta-bloccanti c’è un aumento del rischio del 71% di soffrire di forme gravi di degenerazione maculare che può portare anche alla cecità.
I diuretici e i beta-bloccanti, presi per molto tempo, aumentano il rischio di diabete.
Farmaci anti-ipertensivi in associazione con altri farmaci hanno infine vari effetti pericolosi, ancora non tutti noti.
D’altra parte, l’attività fisica riduce la pressione arteriosa almeno quanto un farmaco anti-ipertensivo e un cambio di alimentazione può avere l’effetto di due farmaci.
Il problema è che per adottare tali cambiamenti occorre essere ben motivati!
Da quanto sopra esposto si può concludere che:
- è opportuno controllare la pressione arteriosa interpretando il suo aumento come un campanello di allarme di un peggioramento del proprio stato di salute in generale: è consigliabile in tal caso agire tempestivamente per invertire tale tendenza;
- in presenza di ipertensione arteriosa e conseguente prescrizione da parte del medico curante, è necessario prendere farmaci anti-ipertensivi per evitare i rischi maggiori. L’assunzione di tali farmaci andrebbe tuttavia considerata, piuttosto che come una cura a vita, come un rimedio-tampone per superare un periodi di crisi, proponendosi comunque di agire per recuperare uno stato di salute che consenta di poterne fare a meno.